Mi chiamo Antonella, ho 33 anni e vengo da un paesino in periferia di Bologna. Assieme ad Elisa, Sofia, Martina, Chiara, Giulia, Monica e Manuel, abbiamo deciso di partire per un tempo di missione in Brasile. L’accoglienza delle missionarie, un sole splendente, delle favelas colorate poste ai bordi delle strade, odori nuovi e il verde della mata atlântica (la foresta brasiliana) sono i primi ricordi che ho di questa terra, inizialmente straniera ma che, un giorno dopo l’altro, mi è diventata familiare.
Il Centro San Massimiliano Kolbe è una struttura che, in collaborazione con gli enti assistenziali statali, offre un servizio di accoglienza e supporto educativo a circa 170 giovani, di età fra i 6 e i 18 anni. Èdiretto da Katia e Daiane, missionarie della comunità di San Bernardo. Sono poi presenti due assistenti sociali, quattro educatori, una incaricata dell’amministrazione, due cuoche (bravissime!), il personale che si occupa della gestione e della sorveglianza del Centro, oltre a molti laici che collaborano in vari modi. I ragazzi sono organizzati in due grandi gruppi, mattina e pomeriggio, a seconda della frequenza a scuola, e successivamente raggruppati per età, seguiti dall’educatore di riferimento. Noi volontari stavamo in compagnia dei giovani sia durante le attività svolte in aula, sia durante i laboratori settimanali di danza, judo, capoeira e circo.
Tutto il Centro ci ha accolto festoso, con canti e allegria. Fin da subito mi ha colpito la bellezza dei bambini e dei ragazzi, coi loro volti raggianti, gli occhi attenti e i sorrisi contagiosi. Dietro a tanta bellezza però ci sono storie familiari e sociali molto dure (violenze, povertà, abbandono e altro ancora). Nonostante ciò, questi ragazzi che avrebbero tutti i motivi per essere arrabbiati, in queste settimane ci hanno invece regalato sorrisi e sguardi pieni di tenerezza, che testimoniano qualcosa di grande: che si può “stare” in ogni situazione della vita, con occhi attenti. “Stare”, cioè abbracciare una situazione difficile o faticosa, anche se sarebbe più semplice non farlo.
Stare, cioè coinvolgersi con l’altra persona, anche se serve molta pazienza e rispetto. Stare, o meglio rimanere accanto al fratello, anche solo con un abbraccio silenzioso. Stare e rimanere con noi stessi, ovvero guardarci con un po’ più di tenerezza perché non siamo perfetti, non siamo sempre al top, ma siamo noi con le nostre ferite, i nostri limiti e anche i pregi. Stare, sì, ma “con occhi attenti”, attenti a cogliere la bellezza che ti raggiunge in vari modi.
Così è stato per me. La bellezza mi ha raggiunto, per esempio, mentre camminavo sovrappensiero per il corridoio, e un bimbo di nome Joãn mi ha preso per mano portandomi fuori a giocare coi suoi amici; oppure con Nanà, una ragazza adolescente, che mi ha sempre tenuto un posto accanto a lei, per farmi sentirmi parte del gruppo anche se non capivo bene il portoghese.Ogni persona incontrata, dal bambino al ragazzo, fino agli adulti del Centro, mi ha ricordato con gesti e sguardi che io ero preziosa per loro e che quindi ho un valore perché ci sono e, per giunta, così come sono. E se io sono preziosa, lo è ognuno accanto a me! Sei prezioso tu che non ho mai visto (come lo sono stata io per quei ragazzi del Centro) o tu, che conosco da una vita o che mi abiti accanto. L’altra persona può essere una vera scoperta per me e io posso mettermi in gioco per il suo bene. L’ho imparato proprio in questi giorni, osservando le persone che lavorano al Centro. Ciascuno di loro (missionarie, educatori, assistenti sociali, cuoche e tutto il personale presente) spendono energie, tempo e forse anche ore di sonno solo per il bene dei ragazzi e delle famiglie della zona, senza chiedere nulla in cambio. Ma anche ai giovani miei compagni di viaggio va il mio ringraziamento. È stato bello vedere che ci si dava una mano senza chiederselo, una risata nel momento del bisogno e la vicinanza rispettosa quando le parole non servono. Tutti noi siamo fioriti un giorno dopo l’altro, facendoci il dono reciproco di condividere la bellezza (e a volte anche le proprie fatiche) di questi giorni passati assieme. Quanto è più bella è la vita se condivisa. E non posso dimenticare le missionarie (in confidenza miss), a partire da Katia e Daiane, che ci hanno fin da subito accolto. Loro ci hanno testimoniato il volto materno della Chiesa.
Questa esperienza in Brasile non rimane in Brasile. Lo dico non solo perché non dimenticherò i volti di coloro che ho conosciuto, ma perché questa bellezza incontrata mi testimonia il grande amore di Dio per ognuno di noi. Lui che ha voluto proprio me e te, che non si dimentica mai dei propri figli, ci ricorda che siamo amati per sempre e lo fa attraverso l’incontro con l’altra persona. Grazie, Brasile, continuiamo a camminare assieme.
Antonella Cattani
P.S. A comida brasileira é uma delícia(il cibo brasiliano è una bontà): parola di italiana!